Nel panorama contemporaneo, dove l’informazione è sia moneta che merce, si assiste a una proliferazione di fenomeni che sfidano la logica comune. Tra questi, spicca la figura del cartomante che, in un apparente ossimoro, ricorre alla pubblicità per promuovere i propri servizi. La domanda, lapidaria e dirompente, sorge spontanea: ‘Perché i Cartomanti che comprano la pubblicità non valgono nulla?’ Non si tratta di un giudizio affrettato o di una facile denigrazione, ma di un’interrogazione profonda sulle dinamiche della credulità, della fiducia e della percezione del valore in un’epoca dominata dalla comunicazione di massa.
Per comprendere appieno il nucleo di questa affermazione, è fondamentale decodificare la natura stessa della cartomanzia e le aspettative che essa ingenera. La cartomanzia, nella sua essenza, si propone come un ponte verso l’ignoto, una chiave per decifrare il destino, un faro nelle nebbie dell’incertezza. Il suo presunto valore risiede nella capacità di accedere a conoscenze precluse all’ordinario, di predire eventi futuri o di offrire intuizioni nascoste. Questo accesso privilegiato, per sua stessa definizione, dovrebbe essere intrinseco al dono, al ‘potere’ del cartomante, non una merce acquistabile o un servizio da promuovere attraverso canali convenzionali.
Ed è qui che si instaura la prima, e forse più significativa, dissonanza. Se un individuo possiede la facoltà genuina di connettersi con piani superiori, di leggere il futuro nelle carte o di attingere a verità arcane, perché avrebbe bisogno di investire in campagne pubblicitarie, esattamente come farebbe un qualunque venditore di beni di consumo o servizi ‘terreni’? La pubblicità è, per sua natura, uno strumento di persuasione volto a creare domanda per qualcosa che di per sé non è immediatamente percepibile o la cui utilità deve essere spiegata e valorizzata. Implica uno sforzo per raggiungere un pubblico, per competere in un mercato, per convincere un potenziale cliente della validità di un’offerta. Ma se il cartomante è veramente detentore di un sapere preveggente, non dovrebbe essere la sua fama, la testimonianza di previsioni azzeccate, a fungere da più potente e autentica forma di ‘pubblicità’, diffusa di bocca in bocca, attraverso l’aura mistica che dovrebbe circondarlo?
Il ricorso alla pubblicità da parte di un cartomante mina alla base il principio di esclusività e di autenticità che egli stesso vorrebbe rivendicare. È come se un oracolo millenario, la cui saggezza fosse riconosciuta da generazioni, decidesse improvvisamente di affittare spazi sui cartelloni stradali o di comprare spot televisivi. Un’azione del genere non genererebbe fiducia, ma piuttosto un senso di scetticismo, la sensazione che il ‘dono’ sia stato mercificato, ridotto a una prestazione commerciale come un’altra. La mistica svanisce, l’aura si dissolve, e ciò che rimane è la mera transazione economica.
Inoltre, la pubblicità, in quanto meccanismo di marketing, è intrinsecamente legata alle logiche del profitto e della massimizzazione del guadagno. Un cartomante che investe in pubblicità lo fa con l’aspettativa di un ritorno economico, di attrarre più clienti e, di conseguenza, di aumentare i propri introiti. Questa dinamica, sebbene legittima in qualsiasi altro campo commerciale, stride fortemente con l’idea di una ‘vocazione’ o di un ‘servizio all’umanità’ che spesso si associano alle pratiche esoteriche. Se l’obiettivo primario è il denaro, la purezza dell’intento, la dedizione al ‘dono’, vengono inevitabilmente messe in discussione. Il rischio è che la previsione diventi un prodotto standardizzato, adattato per soddisfare le richieste del cliente piuttosto che rivelare una verità indipendente.
Vi è poi la questione fondamentale della ‘validazione’. Un bravo medico non ha bisogno di pubblicizzare la sua capacità di diagnosticare, perché la sua validità è dimostrata dalla guarigione dei pazienti e dalla sua reputazione. Allo stesso modo, un artista non pubblicizza la sua ‘ispirazione’, ma le opere che ne derivano. Per il cartomante, la validazione dovrebbe provenire dalla precisione delle sue previsioni e dall’efficacia dei suoi consigli nella vita dei consultanti. Se tale validazione è assente o insufficiente al punto da richiedere un massiccio investimento pubblicitario, ciò suggerisce una debolezza intrinseca nel ‘prodotto’ o nel ‘servizio’ offerto. In altre parole, la necessità di pubblicizzare in modo aggressivo potrebbe essere un sintomo della mancanza di quel valore intrinseco, di quella prova empirica che dovrebbe essere la vera e unica moneta di scambio per chi si muove nel regno dell’occulto.
Infine, la pubblicità di questa natura si posiziona spesso in un’area grigia, al confine tra l’opportunità e l’inganno. Le promesse possono essere vaghe (‘soluzione ai problemi d’amore’, ‘fortuna in arrivo’), ma l’implicazione è chiara: un intervento esterno, quasi magico, risolverà le complessità della vita. Quando queste promesse non vengono mantenute, il danno non è solo economico, ma anche psicologico, minando la fiducia delle persone e, in definitiva, la credibilità di un intero settore. La pubblicità, in questo contento, non eleva il valore percepito, ma lo abbassa, trasformando il cartomante da figura quasi mistica a mero operatore commerciale, e spesso, data la natura delle promesse, in un operatore commerciale di dubbia etica.
In conclusione, la domanda iniziale non è un attacco gratuito, ma una riflessione critica sul rapporto tra autenticità, percezione e marketing. I cartomanti che comprano pubblicità non ‘valgono nulla’ non tanto per una mancanza di onestà individuale (che non è qui in giudizio), quanto piuttosto perché il loro stesso atto di auto-promozione massiva e a pagamento contraddice e svaluta l’essenza stessa di ciò che dichiarano di essere o di possedere. La vera forza di un presunto potere esoterico non dovrebbe dipendere da budget pubblicitari, ma dalla sua tangibile, seppur sottile, risonanza nella realtà delle persone. Quando la mistica cede il passo al marketing, ciò che si perde è molto più di un semplice annuncio: si perde la credibilità e, con essa, ogni pretesa di un valore che trascende il meramente commerciale.
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