La domanda sul perché coloro che operano nei call center di cartomanzia, come quelli di Wengo e Kang, non siano ‘veri cartomanti’ da parte di alcuni, solleva questioni profonde sulla natura della divinazione, l’etica commerciale e le aspettative del pubblico. Questa analisi si propone di esplorare le molteplici sfaccettature di tale percezione, delineando le divergenze tra il modello operativo di questi servizi e le caratteristiche del ‘vero’ operatore esoterico.
Innanzitutto, è fondamentale considerare la **genesi e il contesto del servizio**. I call center di cartomanzia nascono in un’epoca digitale in cui la domanda di consulti esoterici è massiccia, ma l’interazione personale è spesso limitata da distanza geografica o tempo. Questi servizi offrono una soluzione pragmatica: accesso immediato a un consulto, spesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La loro struttura è, per definizione, centralizzata e manageriale, molto simile a quella di qualsiasi altra azienda di servizi. Questo contrasta con la figura tradizionale del cartomante o sensitivo, che spesso opera da un proprio studio, in un contesto più intimo e meno commercializzato, basato sul passaparola e su una relazione più diretta e personale con il consultante.
Un aspetto cruciale è la **motivazione economica e la pressione commerciale**. Nei call center, gli operatori sono generalmente impiegati o collaboratori retribuiti a ora o a chiamata. Esiste una pressione implicita, se non esplicita, a mantenere le chiamate attive per un certo periodo di tempo, poiché la tariffazione è spesso al minuto. Questa dinamica può generare un conflitto di interessi: l’obiettivo primario non è più la pura ‘rivelazione’ o ‘guida’ disinteressata, ma anche il prolungamento della consultazione. Un ‘vero cartomante’ è colui che offre una profezia o un consiglio che, una volta dato, ha esaurito la sua funzione, indipendentemente dalla durata. La necessità di ‘fare numero’ o ‘fare minuti’ può portare a divagazioni, ripetizioni o a un’esitazione nel fornire risposte dirette e concise, tutti elementi che minano la percezione di autenticità e disinteresse.
La **selezione e la formazione degli operatori** rappresentano un altro punto dolente. Mentre alcuni call center potrebbero avere processi di selezione rigorosi per identificare individui con presunte capacità sensitive o con una profonda conoscenza dei tarocchi, altri potrebbero privilegiare la capacità comunicativa, l’empatia generica e la disponibilità oraria. Non è sempre garantito che l’operatore abbia un percorso di studi esoterici approfondito, una pratica meditativa costante o una vera ‘vocazione’ alla divinazione. La competenza può essere più superficiale, basata su manuali o su script generici, piuttosto che su un’intuizione o una conoscenza esoterica radicata. Un ‘vero cartomante’ è spesso visto come qualcuno che ha dedicato anni allo studio, alla pratica e allo sviluppo delle proprie facoltà, spesso attraverso un percorso iniziatico o di auto-scoperta.
Il **marketing e la pubblicità** giocano un ruolo significativo. Le piattaforme come Wengo e Kang investono pesantemente in pubblicità, presentando i loro operatori come esperti in ogni campo dello scibile esoterico: amore, lavoro, fortuna, famiglia. Questa onnipresenza e la frequente massificazione dei messaggi pubblicitari possono diluire la percezione di un’autenticità mistica, rendendola più simile a un servizio al cliente standardizzato. La mistificazione e il mistero, elementi chiave dell’aura del ‘vero’ sensitivo, vengono erosi da una presentazione così aperta e commercializzata.
La **personalizzazione del consulto** è spesso limitata. Sebbene gli operatori possano fare del loro meglio per stabilire un legame, l’anonimato del telefono e la natura spesso ‘a raffica’ delle chiamate impediscono lo sviluppo di una relazione di fiducia profonda e a lungo termine. Il ‘vero cartomante’ instaura spesso un rapporto duraturo con i propri consultanti, conoscendone la storia e le sfumature emotive, il che permette un consulto più mirato e significativo. Nel call center, si è spesso solo ‘un’altra voce’ con ‘un altro problema’, e la continuità con lo stesso operatore non è garantita, minando la coerenza del percorso divinatorio.
Infine, la **percezione della ‘magia’ e del ‘sacro’**. Molte persone associano la cartomanzia autentica a un contatto con l’ignoto, con forze sottili o con una saggezza ancestrale. Questo richiede un ambiente propizio, una disposizione d’animo specifica e un rituale, seppur minimo. L’ambiente sterile e la logica aziendale del call center mal si conciliano con questa vision. È difficile percepire un flusso energetico o una connessione profonda quando si sa che l’operatore sta rispondendo a una chiamata dietro l’altra, magari da un cubicolo standardizzato. La ‘magia’ diventa un prodotto, non un’esperienza trasformativa.
In conclusione, la percezione che gli operatori di call center come Wengo e Kang non siano ‘veri cartomanti’ non deriva necessariamente da un’accusa di frode individuale, ma piuttosto da una serie di fattori strutturali e operativi che contraddicono l’immagine idealizzata del professionista esoterico. La pressione commerciale, la standardizzazione del servizio, le modalità di selezione e la natura intrinsecamente spersonalizzante di un modello di business di massa tendono a erodere l’aura di mistero, autenticità e disinteresse, che sono invece attributi fondamentali nell’immaginario collettivo associato a un ‘vero’ cartomante o sensitivo.
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