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Nella vita di ogni criminale c’è sempre un’“impresa” dalla quale si intuisce se è destinato a intraprendere una folgorante carriera. Nella turbolenta esistenza di Raffaele Cutolo, tale impresa porta la data del 5 febbraio del 1978, il giorno in cui evase dal manicomio criminale di Aversa. Una fuga senza spargimenti di sangue, che solo una mente del suo calibro avrebbe potuto architettare. Lui la definirà in seguito «un allontanamento rumoroso», ma in realtà fu una evasione che provocò molto scalpore anche per la palese inadeguatezza dei sistemi di sorveglianza. E fu in quell’occasione che si scoprì che il camorrista era in realtà sano di mente e non soffriva neppure di epilessia, una delle ragioni per le quali gli era stato concesso il ricovero in una struttura psichiatricogiudiziaria.
Siamo verso la fine degli anni Ottanta. All’epoca “Il Professore” di Ottaviano non è ancora il capo della camorra campana, ma ha già dimostrato di avere la stoffa del malavitoso, tant’è che si è guadagnato l’ammirazione e il rispetto di molti delinquenti.

Al manicomio Saporito di Aversa c’è finito grazie a una generosa perizia psichiatrica che ha stabilito che non solo è mezzo pazzo, ma soffre pure di epilessia. In realtà è sano come un pesce. In mezzo ai matti veri, Cutolo la fa da padrone, la sua camera è dotata di parecchi confort e gode di alcuni privilegi inimmaginabili per un detenuto. Chiunque può fargli visita. Vanno a trovarlo, ad esempio, due persone che non avrebbero potuto: il parroco don Peppino Romano, che si spaccia una volta per cognato e la volta successiva per il cugino, e Giuseppe Puca, un suo affiliato, pure lui registrato come il cugino. Cutolo, insomma, riesce a gestire i suoi rapporti e i suoi affari con una certa tranquillità e in un regime di detenzione assolutamente morbido. Ma fuori dal manicomio c’è qualcuno che ha intuito la pericolosità del Professore, sa che sta mettendo in piedi un clan con centinaia di affiliati e per questo va fermato prima possibile. Il boss di Ottaviano viene informato sulle intenzioni omicide dei nemici e decide di giocare d’anticipo organizzando un’evasione coi fiocchi che passerà alla storia.
Il 5 febbraio del 1978 è una domenica e la zona circostante l’ospedale psichiatrico è completamente deserta. Intorno alle 14:30 una Giulia 1300 con a bordo due persone arriva a piazza Sellitto, dove si affaccia anche il Saporito; su quello slargo si può agire indisturbati perché intorno ci sono il seminario vescovile e l’istituto magistrale Iommelli, entrambi chiusi perché è domenica. I due scendono dalla macchina e cominciano a scavare un buco sulla parete del manicomio. Poi nel foro praticato sul muro infilano un candelotto di tritolo di quasi un chilo, accendono la miccia e si allontanano. Passano pochi secondi e un boato squarcia il muro e dalla parete sventrata esce Raffaele Cutolo, la cui stanza dà proprio su piazza Sellitto. Fuori ad aspettarlo c’è la Giulia 1300, il capoclan sale a bordo della vettura e i tre scappano a grande velocità.

Lungo il percorso, però, c’è un imprevisto; all’altezza di largo della Carità si è creato un ingorgo che intralcia la fuga di Cutolo e dei suoi compari. In un’altra circostanza, sarebbe sufficiente pigiare sul clacson per farsi strada, ma dalla Giulia scende uno dei tre con una mitraglietta ben in evidenza, e alla vista dell’arma gli automobilisti ci mettono un attimo a farsi da parte. La vettura sgomma e porta il boss di Ottaviano in un rifugio segreto. La macchina sarà poi trovata in serata a Casandrino, un comune a nord di Napoli. Mentre Cutolo è al sicuro chissà dove, poche ore dopo due guardie vengono arrestate con l’accusa di aver facilitato la fuga del camorrista. I colleghi del Saporito protestano con forza, lamentando l’impossibilità di far fronte a un evento imprevedibile come quello accaduto la domenica del 5 febbraio. Dall’inchiesta emerge, però, un particolare inquietante: Cutolo stava per essere trasferito in una struttura psichiatrica di Reggio Emilia, poiché i carabinieri avevano scoperto che il boss di Ottaviano stava preparando qualcosa. Il direttore aveva sollecitato un immediato cambiamento di sede e l’autorizzazione al trasferimento era arrivata alle 10:45 di domenica, cioè proprio poche ore prima della clamorosa fuga. Ma il boss sapeva già tutto, perché proprio quella mattina dalla sua camera erano spariti vestiti, scarpe e lettere, secondo gli inquirenti portati via dalla sorella Rosetta e dal fido Puca. Come abbia fatto a sapere in tempo che lo avrebbero spedito in Emilia Romagna, resta ufficialmente un mistero. Ma l’evasione col tritolo contribuirà ad alimentare il mito del Professore di Ottaviano, che giustificherà così il suo «allontanamento rumoroso»: «Sono evaso perché si parlava che volevano ammazzarmi. Così andai di persona a chiarire tutto dai “mezzi mafiosi” della Campania. Per me erano “mezzi mafiosi” perché prendevano ordini dai capi siciliani, vendendosi così la propria terra». Cutolo verrà arrestato il 15 maggio del 1979 ad Albanella, in provincia di Salerno. Da quel giorno non è più uscito dal carcere.

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