Uzi Rubin martedì notte ha avuto la prova che il suo lavoro non è stato inutile. Nel 1991, quando Israele si scoprì inerme davanti agli attacchi degli Scud di Saddam Hussein, gli venne affidata una missione in apparenza impossibile: realizzare uno scudo in grado di fermare i missili balistici, disintegrandoli fuori dall’atmosfera.
Rubin oggi ha 87 anni e ha portato avanti il suo progetto per tre decenni, superando problemi tecnici, costi miliardari e l’ostilità dei militari ma ha infine visto i suoi Arrow distruggere gli ordigni iraniani a una distanza siderale.
I 180 missili scagliati dagli ayatollah di Teheran sono stati affrontati dalle due barriere superiori del triplice schermo difensivo di cui dispone Israele. Iron Dome […] infatti serve solo contro i razzi a corto raggio, quelli di Hamas ed Hezbollah, e in situazioni come quella di martedì può solo contribuire a eliminare i rottami dei vettori già spezzati da altri intercettori.
Solo Arrow – Freccia dà la garanzia di abbattere gli ordigni balistici: la versione 3 lo fa pure nello spazio; quella precedente solo all’interno dell’atmosfera. A distanza più ravvicinata è intervenuto l’ultimo brevetto delle industrie israeliane: David’s Sling ossia la Fionda di Davide, che ha rimpiazzato i Patriot statunitensi e colpisce gli incursori nella fase finale del volo.
La gestione centrale della grande muraglia israeliana è top secret. Si ritiene che i satelliti ad infrarosso abbiano segnalato immediatamente la partenza dei missili dall’Iran, individuando il calore dei propulsori.
A quel punto è scattato il conto alla rovescia: entro quindici minuti bisognava bloccare lo sciame. Un sistema di intelligenza artificiale ha calcolato le traiettorie e selezionato i bersagli: la priorità è stata data agli ordigni diretti contro zone abitate e contro installazioni strategiche come la centrale nucleare di Dimona. Grazie anche ai dati raccolti dalle sentinelle spaziali americane e trasmessi in tempo reale dal Pentagono, si ritiene che il punto di impatto delle bombe volanti sia stato individuato con un’approssimazione di circa duecento metri.
Questa cernita è stata completata nel giro di tre-cinque minuti, poi le coordinate degli obiettivi sono state smistate tra le batterie di Arrow, entrate in azione cinque minuti dopo, e tra quelle messe a disposizione dagli Stati Uniti. Almeno due cacciatorpediniere dell’Us Navy dal Mediterraneo hanno scagliato “oltre una dozzina” di missili SM-3 e SM-6: si tratta dell’Uss Bulkeley e del celebre Uss Cole, semiaffondato da un attentato qaedista nel 2000. Non ci sarebbero stati ingaggi dagli aerei, che poco possono contro missili a velocità di ottomila chilometri orari.
Washington ha negato che sia stata messa in campo l’arma più potente a sua disposizione: le batterie terrestri Thaad, con capacità simili all’Arrow, dislocate dallo scorso autunno in alcuni Paesi arabi. Diversi analisti credono che invece che il Thaad sia entrato in azione, contribuendo in modo rilevante a falciare la falange killer di Teheran.
Solo una parte dei circa 180 missili iraniani è stata fermata. Ancora non c’è una statistica ufficiale, ma un terzo degli ordigni sarebbe piombato sul terreno: nessuno però ha causato vittime o danni gravi.
Questo risultato viene interpretato come prova dell’efficacia del cervello elettronico basato sull’AI che seleziona i bersagli stabilendone la pericolosità. Israele infatti non aveva intercettori sufficienti per annientare tutti i 180 ordigni in meno di dieci minuti, senza il tempo cioè di ricaricare i lanciatori. E non era in grado di farlo neppure con il sostegno americano: poteva solo ridurre al minimo la letalità. Una prestazione ripetibile? Le scorte di Arrow sono segrete, ma si reputa che siano sufficienti per affrontare almeno un’altra ondata.
Contrariamente all’offensiva del 13 aprile, i Guardiani della rivoluzione martedì sera hanno utilizzato la parte migliore del loro arsenale. l’operazione “Vera promessa 2” è stata condotta con i più moderni Kheibarshekan e Fattah-1: quest’ultimo sarebbe in grado di cambiare rotta dopo il rientro nell’atmosfera, rendendo più difficile abbatterlo.