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DA PUTIN AL GNL È UN ATTIMO

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Daigasdotti alle navi metaniere. La crisi innescata dai tagli di Gazprom ha cambiato per sempre il mercato del gas, imponendo anche in Europa le importazioni di Gnl come prima forma di approvvigionamento del combustibile: una svolta epocale, che ci ha protetto dai ricatti di Mosca, ma che ci ha anche consegnato ad una fase prolungata di incertezza, con forniture strutturalmente più costose e aleatorie rispetto a quelle a cui eravamo abituati. Una situazione che non cambierà, almeno finché non stabilizzeremo le consegne attraverso nuovi contratti pluriennali, scelta che però non è facile da conciliare con gli obiettivi di decarbonizzazione.

A richiamare l’attenzione su un tema che rischia di diventare sempre più spinoso sono le cifre pubblicate dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), in un nuovo rapporto sulla sicurezza globale delle forniture di gas. Nel 2022 il Gnl ha soddisfatto il 35% della domanda di gas nella Ue, contro il 12% medio del decennio precedente: una quota «simile al contributo del gas russo via pipeline prima dell’invasione dell’Ucraina», evidenzia l’Aie, e che quasi certamente aumenterà. La corsa a dotarci di nuovi rigassificatori infatti non si è ancora esaurita. In parallelo lo sviluppo dell’offerta di gas liquefatto sta accelerando e i grandi produttori, Stati Uniti e Qatar in testa, stanno facendo di tutto pur di riuscire a piazzare le proprie forniture, approfittando in Europa degli spazi lasciati liberi dalla Russia.

L’anno scorso per la prima volta nella storia nel Vecchio continente è arrivato più Gnl che gas via tubo: 170 miliardi di metri cubi (+57%) contro 151 miliardi (-35%), secondo cifre dell’Energy Institute. Ma 62 miliardi di metri cubi erano stati comunque recapitati da Gazprom. E prima o poi sono destinati a sparire. Il ricorso al gas liquefatto è stato una scelta obbligata. Nei periodi più acuti della crisi – quando il gas era arrivato a superare 340 euro per Megawattora al Ttf, oltre dieci volte i livelli attuali –l’Europa ha accolto a braccia aperte carichi di Gnl di qualsiasi provenienza, senza badare a spese. Da quando il mercato ha cominciato a surriscaldarsi (fenomeno iniziato nella seconda metà del 2021, prima della guerra in Ucraina) il Vecchio continente ha speso 1,12 trilioni di dollari per procurarsi gas, una cifra paragonabile al Pil dell’Arabia Saudita, stima EnergyFlux, avvertendo che la somma potrebbe crescere di ulteriori 600 miliardi entro il 2025 a causa dei prezzi resi «strutturalmente più alti» dall’alta penetrazione del Gnl si tratta comunque di una cifra impressionante.

La crisi, si dirà, ci ha colti impreparati. E comunque – grazie anche a un pizzico di fortuna – siamo riusciti ad evitare il peggio. Ma non ci siamo preoccupati di garantire che la nostra nuova dipendenza dal Gnl continui ad essere soddisfatta: cosa niente affatto scontata nelle fasi in cui il prezzo di mercato diventa meno allettante per i fornitori (o semplicemente più basso di quello offerto in Asia). L’Unione europea, rileva l’Aie, oggi si affida al mercato spot per oltre il 50% degli acquisti di gas liquefatto, una quota più che raddoppiata rispetto al 20% circa del 2021. Oltre la metà dei carichi, tanto per chiarire, li prendiamo “al volo”, in modo opportunistico. Finora siamo riusciti a soddisfare le necessità, grazie anche a una domanda tuttora piuttosto debole in tutto il mondo. Ma un domani potremmo ritrovarci in difficoltà, di nuovo costretti a pagare somme stratosferiche per aggiudicarci le forniture. Anche la Cina ha fatto affari d’oro rivendendoci carichi che aveva a sua volta ottenuto a prezzi contenuti con contratti di lungo termine.

Stringere accordi analoghi potrebbe tutelare maggiormente i consumatori europei. E proprio su questo fanno leva i fornitori, a cominciare dagli Stati Uniti e dal Qatar, che tra qualche anno riverseranno fiumi di Gnl sui mercati, per cui sono ansiosi di garantirsi acquirenti “sicuri”. L’offerta potrebbe aumentare dell’equivalente di oltre 190 miliardi di metri cubi nel 2027, di cui almeno 87 in arrivo dagli Usa, stima un recente studio della Columbia University. Il rapporto diffuso ieri dall’Aie mette l’accento sul forte risveglio degli investimenti indotto dalla crisi del gas: da febbraio 2022, quando Mosca ha invaso l’Ucraina, ha ricevuto via libera la costruzione di nuovi progetti per quasi 90 miliardi di metri cubi di capacità. Il 95% delle decisioni finali d’investimento (Fid) è stato preso negli Usa, già divenuti il primo fornitore di Gnl in Europa e decisi ad espandersi ulteriormente. Tutto questo gas però non arriverà domani. E nel frattempo il mercato potrebbe riservare nuovi scossoni. L’Aie per prima mette in guardia sulla possibilità di nuove impennate dei prezzi del gas nella stagione invernale, soprattutto in caso di freddo intenso e di uno stop totale alle forniture di Gazprom. Le scorte abbondanti inducono a un «cauto ottimismo», riconosce l’Agenzia parigina, prevedendo che i depositi possano riempirsi al 90% fin dai primi di agosto e avvicinarsi al 100% verso metà settembre. «Avere stoccaggi pieni – aggiunge –non è comunque una garanzia contro la volatilità del mercato durante l’inverno».
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