Respirare è un comportamento così semplice e automatico che si dà per scontato. «Eppure la maggior parte di noi respira male, utilizza meno del 50% della capacità respiratoria» puntualizza Mike Maric, campione mondiale di apnea , coach di respirazione, medico specialista in ortognatodonzia e professore all’Università di Pavia, allenatore, tecnico europeo di 4° livello Coni autore dei libri Il potere antistress del respiro e La scienza del respiro (Vallardi), «Se riuscissimo a usare anche solo il 10% in più della nostra capacità polmonare potremmo guadagnarne in termini di benessere». Imparando a respirare efficacemente si può migliorare la pressione del sangue, il battito cardiaco e influire sull’attività di ampie aree del cervello e, di conseguenza, su cognizione, emozioni, umore, stress e memoria, come si legge su Annual Review of Neuroscience. L’apparente semplicità dell’atto respiratorio nasconde un complesso sistema di controllo neurale. spiega Nicola Montano, professore di Medicina interna all’Università degli Studi di Milano e direttore dell’omonima divisione all’Irccs ospedale Policlinico del capoluogo lombardo. «I neuroni di questo generatore del ritmo respiratorio sono in contatto sinaptico con altri neuroni del tronco encefalico che regolano la frequenza cardiaca, garantendo quella sincronizzazione vitale tra respiro e battito cardiaco. Questo è il motivo per cui il cervello ci guida a respirare senza che noi ce ne accorgiamo e fa in modo che la respirazione cambi e si coordini con altri comportamenti, come mangiare, parlare, ridere, sospirare, assecondandoli». C-benessere è costituita dal sistema nervoso autonomo. «È costituito da due parti: il sistema nervoso simpatico ,il nostro acceleratore, che si attiva in qualsiasi situazione di stress sia psichico sia fisico, e quello parasimpatico o vagale , il nostro freno, associato al relax e al recupero. «L’iperattività simpatica, che si esprime con un’aumentata liberazione di adrenalina e noradrenalina in circolo, è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di patologie croniche come quelle cardiovascolari e metaboliche perché a sua volta attiva fattori di rischio intermedi: infiammazione, stress ossidativo, resistenza insulinica, alterazione della risposta del sistema immunitario, della qualità e della quantità del sonno. Uno dei modi per ridurre l’attività simpatica, e aumentare quella protettiva parasimpatica, è la modulazione del ritmo della respirazione: da qui i benefici su umore, stress, emozioni e sui fattori di rischio di malattia che possono così essere ridotti». «Chi pratica yoga è avvantaggiato», prosegue Montano. «In letteratura scientifica, le terapie cognitivo-comportamentali, in cui rientrano le tecniche di meditazione sia quelle orientali più antiche come lo yoga, sia quelle occidentali più recenti come la mindfulness, stanno raccogliendo sempre più evidenze della loro capacità antistress, o meglio di riduzione della risposta allo stress. Utilizzano il respiro lento e profondo come strumento per controllare il sistema nervoso autonomo, abbassando l’attività simpatica a favore di quella parasimpatica. L’effetto finale di questo tipo di respirazione è quello di ridurre l’eccessiva risposta allo stress cronico che è quello che può far ammalare». «Per quanto riguarda l’insonnia, invece, le linee guida sottolineano come l’unica evidenza per un trattamento senza effetti collaterali è quello delle terapie cognitivo-comportamentali. In questi ultimi anni stanno emergendo tecniche che vanno a stimolare, in modo non invasivo, l’attività vagale elettricamente: fanno parte della cosiddetta bioelectric medicine e in futuro potrebbero aiutare a migliorare la cura dell’insonnia». Infine, ricercatori hanno dimostrato che se durante un allenamento i pazienti con scompenso cardiaco respirano in modo più lento e profondo c’è un effetto protettivo enorme sul sistema cardiovascolare, perché si riduce la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. conclude Andrea Zaccaro, psicologo e ricercatore post dottorato all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara e coautore di uno studio su respiro e cervello. «Per questo le pratiche respiratorie possono influenzare la variabilità del ritmo cardiaco. Lavorare sul respiro significa anche migliorare l’enterocezione, la capacità che ha il cervello di percepire il corpo».
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